Nel caso di scioglimento del contratto di leasing ad opera del curatore fallimentare, il concedente, per i crediti scaduti fino alla data della sentenza dichiarativa, può soddisfarsi, insinuandosi al passivo in sede di verifica dei crediti, in quanto il credito (comprensivo degli interessi compensativi) è anteriore al concorso.
Per il capitale corrispondente ai crediti non ancora scaduti a tale data, il concedente ha diritto alla restituzione del bene, oltre al diritto eventuale di insinuarsi allo stato passivo in via tardiva per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato.
Infatti, per il periodo successivo il rapporto non più avuto esecuzione e la legge “funzionalizza” il bene di cui al leasing alla restituzione del capitale residuo che è rimasto ancora scoperto e non anche al pagamento di interessi, considerato che l’utilizzatore ha perso la disponibilità materiale del bene.
Le clausole contrattuali che prevedono la soddisfazione diretta ed esclusiva del concedente sul ricavato da ricollocazione del bene (c.d. patto di deduzione) per i canoni scaduti e a scadere, sono nulle per contrarietà all’ordine pubblico economico, tendendo ad escludere la disciplina dell’art. 1526 cod. civ.
L’art. 72 quater ha natura eccezionale e non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione fra leasing finanziario e traslativo.
Cassazione civile, Sezione VI – 1, ordinanza 04 febbraio 2019 n. 3200