La nozione di giustificatezza introdotta dalla contrattazione collettiva in materia di licenziamento del dirigente, si traduce essenzialmente in assenza di arbitrarietà e pretestuosità o, per converso, nella ragionevolezza del provvedimento datoriale e si estende fino a comprendere qualsiasi motivo che ne escluda l’arbitrarietà, con i limiti del rispetto dei princìpi di correttezza e buona fede e del divieto del licenziamento discriminatorio.
Spetta al datore di lavoro che non voglia corrispondere l’indennità supplementare dimostrare la veridicità e la fondatezza dei motivi da lui addotti nonché la loro idoneità a giustificare il recesso, anche se si richiede solo una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà. Ove il dirigente alleghi circostanze idonee a comprovare l’insussistenza della giustificatezza, ciò non vale a invertire l’onere della prova gravante sul datore di lavoro.
L’onere di contestazione sussiste solo per i fatti noti alla parte; i fatti possono considerarsi pacifici solo quando siano esplicitamente ammessi dalla controparte o comunque questa abbia assunto una posizione difensiva assolutamente incompatibile con la loro negazione.
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, ordinanza 04 gennaio 2019 n. 87