La prestazione lavorativa del socio di cooperativa costituisce, non mero adempimento del contratto sociale, ma esecuzione di un ulteriore rapporto di lavoro (cfr. art. 1 n. 3 legge n. 142/2001) che comporta un’espansione a tale rapporto di istituti e discipline propri del lavoro subordinato, anche se il rapporto di lavoro cessa ineluttabilmente per effetto della cessazione del rapporto associativo, ma non viceversa.
Nel novellato testo dell’art. 18 legge 300/70 è assente qualunque esclusione di tali soci-lavoratori dal computo dei dipendenti per la dimensione rilevante ai fini della tutela reale, al di fuori del coniuge e dei parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e collaterale ed anzi l’art. 2 della legge n. 142 prevede la piena applicazione della legge 300 ai soci-lavoratori, con la sola esclusione dell’art. 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo.
Pertanto, “in una società cooperativa, anche i soci lavoratori con un rapporto di lavoro subordinato devono essere computati ai fini del requisito dimensionale per l’applicazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro: con la conseguenza della fruibilità anche ai lavoratori dipendenti non soci della tutela prevista dall’art. 18 l. 300/1970, nel testo novellato dall’art. 1, comma 42, l. 92/2012” (principio di diritto).
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza 11 marzo 2019 n. 6947